Phyllis Nagy, dopo aver firmato la sceneggiatura di Carol, ritorna dietro la macchina da presa con Call Jane, film ispirato alle attività del gruppo Jane Collective che, negli anni ’60 e ’70, ha aiutato le donne in difficoltà offrendo la possibilità di abortire in modo sicuro in un periodo in cui l’interruzione di gravidanza era ancora quasi del tutto illegale.
Per avvicinare gli spettatori a questa drammatica situazione sullo schermo si racconta la storia di Joy (Elizabeth Banks), moglie di avvocato e già madre, che si ritrova inaspettatamente alle prese con una gravidanza che mette seriamente a rischio la sua salute, scoprendo che non ha alcuna voce in capitolo sull’eventuale decisione di abortire. Dopo la drammatica scoperta, mostrata con un’efficace sequenza in cui la donna e suo marito si confrontano con il team di medici (ovviamente completamente formato da uomini) che devono decidere se ci sono gli estremi per intervenire, rendendosi conto che nessuno chiede la sua opinione o indaga sui suoi desideri e problemi, Joy scopre una realtà fatta da incidenti casalinghi compiuti appositamente per obbligare lo staff medico a compiere l’aborto, presunte soluzioni e attività illegali che mettono a rischio la vita delle donne. A cambiare tutto sarà la scoperta dell’esistenza dell’organizzazione che interviene per aiutare chi è in difficoltà offrendo una procedura sicura, assistenza psicologica e sostegno. Joy, dopo aver provato in prima persona l’ingiustizia causata dalle leggi in vigore, prenderà quindi in mano la sua vita impegnandosi attivamente per aiutare chi si trova nella sua stessa situazione.
Il film Call Jane è particolarmente efficace nel ricreare l’atmosfera degli anni in cui si svolge la storia e propone dei ritratti femminili, in particolare quello di Joy interpretata con convinzione e trasporto da Elizabeth Banks, mai unidimensionali. L’evoluzione della protagonista, accompagnata da una colonna sonora che comprende anche dei brani dei Velvet Underground e da citazioni di opere cinematografiche e letterarie come Vertigo, è ben costruita per rendere credibile come la mite casalinga e madre di una quindicenne sia pronta a mentire e rischiare problemi con la legge, lottando per ciò in cui crede. La sceneggiatura di Hayley Shore e Roshan Sethi delinea inoltre con bravura la figura dell’attivista Virginia (Sigourney Weaver), la carismatica leader dell’organizzazione che sa gestire l’attività clandestina e offrire al tempo stesso sostegno emotivo alle donne che si affidano ai suoi servizi. I dialoghi tra i membri della Jane Collective spaziano dal divertimento alle riflessioni sulle tematiche razziali e politiche, e rappresentano uno degli elementi più riusciti del lungometraggio.
I personaggi maschili, dall’avvocato dal buon cuore Will (Chris Messina) all’opportunista Dean (Cory Michael Smith) che compie la procedura clandestina più per soldi che per ideologia, non sono sviluppati nel migliore dei modi pur potendo contare su interpreti che riescono a infondere sfumature e profondità anche a scene fin sviluppate fin troppo a grandi linee. Deludono, inoltre, più del dovuto le presenze di Lana (Kate Mara), che rimane molto in ombra e incarna un po’ troppi stereotipi, e Charlotte di cui non si approfondisce mai realmente la rabbia adolescenziale o i dubbi personali che la portano a compiere anche duri giudizi.
La regista sa però trovare in Call Jane un buon equilibrio tra dramma e leggerezza, non edulcorando mai le paure e i rischi vissuti dalle donne durante un momento così personale come quello di un’interruzione di gravidanza. Il film ha inoltre il merito di ricordare tutte le possibili motivazioni che possono portare una donna a prendere una scelta, mai facile, che ha un impatto così importante sulla propria vita.
Call Jane non è privo di difetti, ma la bravura della regista e delle interpreti portano a superare i punti deboli trasmettendo con forza e convinzione il messaggio alla base del progetto e spingendo a riflettere sui diritti delle donne.