Nei giorni in cui il nome di Alexei Navalny è tornato tra le pagine di cronaca, dopo le accuse delle autorità russe di essere un terrorista, al Sundance 2022 è stato presentato il documentario dedicato all’avversario di Vladimir Putin, progetto (con merito) premiato con numerosi riconoscimenti in questa edizione del festival.
Il regista Daniel Roher ha avuto modo di intervistare e seguire l’avvocato e politico mentre si trovava in Germania dove, nel 2020, stava ristabilendosi dopo un tentato omicidio compiuto avvelenandolo.
Dopo essere uscito dall’ospedale, Navalny ha collaborato con il giornalista e hacker Christo Grozev, che fa parte del gruppo chiamato Bellingcat, per provare a fare chiarezza su quanto gli è accaduto. Le indagini compiute hanno così portato alla scoperta dell’identità di alcuni uomini che sembravano aver seguito Alexei fino a Tomsk. Uno dei momenti più inaspettati, ed efficaci, del documentario è proprio il momento in cui Navalny si finge un funzionario del governo e chiama i possibili colpevoli fingendo di voler capire perché l’oppositore non sia morto. Uno degli uomini che ha compiuto il viaggio seguendolo in Siberia, Konstantin Kudryavstev, inaspettatamente ammette di aver agito come pianificato, anche se il risultato non è stato quello sperato.
L’attentato è inoltre mostrato grazie al drammatico video girato a bordo dell’aereo dove si trovava il politico quando ha iniziato a fare i conti con i terrificanti dolori fisici, come dimostrano le strazianti urla di Navalny. Sullo schermo spazio poi alla corsa in ospedale, alla lotta della moglie Yulia per provare a vedere il marito e assicurarsi che stia ricevendo le cure necessarie, temendo che la sua permanenza in un ospedale russo potesse rivelarsi mortale, l’intervento di Angela Merkel, il viaggio in Germania e le analisi che hanno portato alla conferma della sostanza, Novichok, usata per provare a far uscire di scena l’avversario di Putin.
Navalny, oltre agli elementi che farebbero la gioia di qualsiasi sceneggiatore di thriller politici, è però molto di più. Fin dall’inizio, infatti, sullo schermo si dà spazio alla personalità di Alexei che ha una visione molto chiara della pericolosità della sua situazione e, nonostante tutto, non perde la sua ironia e la sua determinazione. Nei primi minuti, posto di fronte a una domanda “scomoda”, Navalny si rende conto che la risposta potrebbe essere usata nel caso in cui venisse ucciso. L’attivista, che è un avvocato e ha iniziato la carriera politica per contrastare corruzione e criminalità, sa il valore e l’importanza delle sue parole e delle sue azioni, regalando così in più momenti delle riflessioni importanti sull’importanza delle scelte degli individui sulla società e sul far emergere la verità e lottare per la giustizia.
Roher permette di avvicinarsi alla figura del protagonista della sua opera in modo intelligente ed esaustivo, ripercorrendone la campagna, i comizi in cui è particolarmente attento a far esprimere ai presenti le critiche nei confronti di Putin senza dichiarare frasi che possono incriminarlo, la totale mancanza di rispetto da parte del suo avversario che decide di non pronunciarne mai il nome in segno di disprezzo e superiorità, l’attacco subito nell’aprile 2017 quando gli è stato spruzzato un liquido tossico in viso causandogli dei danni alla vista nell’occhio destro, i raid al suo ufficio e al suo team, l’esclusione da ogni articolo nei quotidiani e servizio televisivo, l’impossibilità di organizzare eventi e il continuo stato di tensione e pericolo che contraddistingue la sua vita quotidiana. Le situazioni proposte spingono inevitabilmente a far riflettere su quanta forza d’animo e resilienza sostengano l’attivista nella sua lotta contro il regime e il documentario permette inoltre di scoprire la prospettiva dei membri della sua famiglia, dalla moglie Yulia ai figli, tra cui la diciannovenne Dasha che studia negli Stati Uniti e sembra aver accettato con grande maturità le conseguenze della lotta del padre, nonostante l’ansia e la malinconia che emergono in alcune delle sue dichiarazioni.
L’atto finale del documentario segue Alexei Navalny dopo la decisione di tornare in patria, mostrando passo dopo passo il viaggio con destinazione Mosca mentre all’aeroporto i suoi sostenitori affrontano le autorità venendo arrestati, respinti e silenziati. La regia di Roher, con un sapiente montaggio che spazia dallo sguardo del protagonista in volo al suo team che assiste agli eventi seguendoli grazie ai telegiornali, non dà spazio alla speranza. L’arresto dell’avversario di Putin, nonostante la razionalità che porterebbe a confidare nella giustizia, è inevitabile mentre Alexei e la moglie cercano di rilassarsi guardando Rick and Morty o scherzano con gli altri viaggiatori chiedendo scusa per i problemi causati.
Il lavoro compiuto dal filmmaker risulta importante e necessario grazie alla sua capacità di equilibrare il lato umano, con le dimostrazioni di affetto nei confronti della moglie persino in tribunale, con quello politico e sociale e impone all’attenzione del pubblico internazionale la figura di un uomo disposto a lottare contro un regime autoritario condividendo un messaggio universale che merita di essere ascoltato, apprezzato e condiviso.