Il libro Release the Snyder Cut – The Crazy True Story Behind the Fight That Saved Zack Snyder’s Justice League scritto da Sean O’Connell rappresenta la lettura perfetta nell’attesa del 18 marzo, giorno in cui verrà finalmente distribuita la versione originale delle avventure del team di eroi della DC ideata dal regista.
Il volume è infatti particolarmente ricco di dettagli ed è una lettura estremamente scorrevole e coinvolgente, offrendo una prospettiva maggiormente focalizzata sul lato umano della vicenda, dando inoltre un enorme spazio alle testimonianze dei fan coinvolti nel movimento che ha contribuito a far arrivare il film su HBO Max.
Nel 2017, quando ho dovuto recensire la versione del lungometraggio con la firma di Joss Whedon, avendo a disposizione poche righe, ho trascorso più di un’ora nel tentativo di sintetizzare la mia opinione negativa sul risultato finale, ritrovandomi a criticare l’imbarazzante aspetto di Superman modificato in digitale, la sensazione che fossero stati fusi insieme due approcci alla storia quasi in totale opposizione, il dispiacere nel constatare che le interpretazioni del cast fossero state messe in secondo piano da un racconto confuso e approssimativo, e concludendo ammettendo l’evidente dispiacere rappresentato dalla mancata possibilità di vedere la storia ideata in origine da Zack Snyder. Pur non potendomi considerare una vera fan del regista, ho sempre apprezzato il talento di Snyder e la sua capacità di scegliere un approccio narrativo originale e inaspettato, soprattutto in occasione di progetti legati a personaggi iconici come quelli tratti dalle pagine dei fumetti della DC. Non ho mai avuto, purtroppo, l’occasione di intervistarlo o incontrarlo durante il mio percorso professionale, ma continuo a trovare ammirevole la sua disponibilità nei confronti dei fan e la sua passione nel parlare del lavoro compiuto davanti e dietro la telecamera. Per questi motivi, nonostante non avessi mai seguito con costanza i progressi compiuti dall”esercito’ di fan impegnati nel tentativo di far distribuire la Snyder Cut, sono stata estremamente felice quando è stato annunciato l’accordo con HBO Max, in particolare pensando alle ripercussioni emotive subite da un artista causate dalla consapevolezza che il lavoro compiuto nel corso di molti anni fosse stato stravolto e messo da parte.
Il libro, pubblicato da Applause, permette di scoprire molti dettagli di quanto accaduto dal 2017, pur causando qualche perplessità e non facendo, a mio parere, del tutto chiarezza sulle decisioni dello studio e nell’affrontare il lato negativo del movimento, e suscitando un po’ di fastidio nel proporre una visione unilaterale dello stile di Whedon.
L’opera di O’Connell ha però molti aspetti positivi e dovrebbe essere letta dai sostenitori della DC e dell’impegno di chi ha lottato per ottenere la possibilità di vedere la versione di Snyder.
Il libro offre un approfondimento molto interessante sulla nascita del movimento raccogliendo le storie dei ‘fondatori’, spiegandone le motivazioni e la decisione di sostenere in parallelo l’American Foundation for Suicide Prevention, elemento fin troppo dimenticato nel riportare le notizie che riguardavano le richieste dei fan negli ultimi anni. Release the Snyder Cut trasporta in modo efficace e coinvolgente nel lato più emotivo dell’esperienza cinematografica, condividendo esperienze personali che hanno portato a formare un legame profondo con i film firmati da Snyder e con le persone conosciute durante i tentativi di convincere i vertici di Warner Bros a distribuire il montaggio originale. Altrettanto interessante, specialmente per chi non è un grande esperto di cinema o non conosce la filmografia dell’artista, lo spazio dedicato alla spiegazione della mitologia e delle tematiche alla base dei progetti della DC realizzati da Zack Snyder, sottolineando la contrapposizione con il Marvel Cinematic Universe.
Dal punto di vista della produzione, personalmente, avrei sperato in qualche pagina in più riguardante il lavoro compiuto sul casting, davvero encomiabile, e sulla produzione, e mi sarei aspettata un maggior spazio alla prospettiva di Deborah Snyder sull’intera questione, essendo coinvolta personalmente e dal punto di vista professionale; dettagli che non penalizzano però in nessun modo l’ottimo risultato finale della proposta letteraria.
Dispiace, invece, non trovare una riflessione sui problemi che sicuramente lo studio ha affrontato nel momento del passaggio delle consegne a Joss Whedon e che hanno avuto, quasi sicuramente, un peso nel decidere di non far slittare la data di uscita. Non considerare le ramificazioni commerciali ed economiche di un progetto della portata di Justice League rende probabilmente complicato comprendere realmente le cause di quanto proposto sul grande schermo. Penso sia impossibile negare che franchise come quelli tratti dai fumetti o dalle opere di J.K. Rowling siano essenziali per poter avere i fondi e la possibilità di dare il via libera a opere di minor appeal commerciale e non legate allo sfruttamento dei marchi dal punto di vista del merchandise, delle licenze, dell’uso nei parchi tematici. Era davvero possibile posticipare di più mesi l’uscita nelle sale? Penso che la risposta a questa domanda sia più complessa rispetto a quanto proposto nel libro e coinvolga riflessioni più approfondite riguardante i periodi scelti per la distribuzione in modo da poter sfruttare nel migliore dei modi, pensando in particolare alle entrate grazie al merchandise e alle licenze commerciali concesse, le imminenti festività, scontrarsi con titoli che si rivolgevano a un target diverso, la mancanza di rivali diretti e un lavoro compiuto dal punto di vista della pianificazione del marchio iniziato molto prima dell’annuncio dell’addio di Snyder al progetto. Può essere stata una scelta legata a bonus economici da parte dei vertici dello studio? Forse sì, ma sarebbe stato interessante un’analisi breve, ma chiara, dei tanti elementi legati alla produzione di un cinecomic di questa portata.
Il capitolo dedicato alle differenze tra Joss Whedon e Zack Snyder, inoltre, appare fin troppo sbilanciato a causa della scelta di dare spazio prevalentemente alle opinioni dei fan. Le differenze stilistiche e dal punto di vista narrativo sono innegabili e sarebbe strano il contrario essendo due persone dalle esperienze di vita e professionali differenti, due individui con una propria mente e una visione del mondo personale, come accade con ogni essere umano. A suscitare un po’ di perplessità è invece l’idea che tra i due non ci sia alcun punto in comune, sostenendo che Whedon non usi riferimenti religiosi e filosofici, “non possieda quel tipo di sguardo ricco di strati e sfumature”, o proponga una visione dei supereroi fin troppo ironica e non li consideri seriamente, proponga delle eroine che non sono sempre forti e potenti quando non indossano il loro costume. Tra le pagine si scopre così che il creatore di Buffy non sarebbe in grado di celebrare l’individualismo e le meraviglie della vita, che sfrutterebbe eccessivamente “i tropi hollywoodiani”, e che il suo approccio al genere sarebbe fin troppo “facilmente digestibile e apprezzabile. C’è la tendenza a dimenticarlo mentre stai uscendo dal cinema”. Un’analisi, a mio parere, fin troppo superficiale e che non tiene conto di molti dettagli che potrebbero tranquillamente portare a pensare che la visione dei due registi non sia in totale opposizione. Il primo problema di questa ricostruzione, nonostante si avanzi l’ipotesi che il regista si sia a sua volta scontrato con delle richieste impossibili da soddisfare, è il fatto che Joss Whedon non abbia mai offerto i dettagli della propria esperienza sul set, non abbia rivelato eventuali imposizioni e direttive dello studio e non abbia commentato apertamente le critiche, lasciando quindi in sospeso molti dubbi riguardante quanto è realmente accaduto prima, durante e dopo le ormai famigerate riprese aggiuntive e quanti dei problemi del risultato finale siano attribuiti esclusivamente al lavoro compiuto dal regista. Il secondo punto da considerare è Avengers: Age of Ultron: è davvero possibile dichiarare che Whedon non utilizzi elementi religiosi e filosofici dopo aver proposto un villain e il personaggio di Visione che affrontano proprio tematiche riguardanti la natura degli esseri umani, il libero arbitrio, la capacità di provare compassione ed empatia, ciò che rende salvabile una specie vivente nonostante gli innegabili difetti della sua esistenza sulla Terra? Certo, è un approccio narrativo diverso rispetto a quello di Snyder, sarebbe impossibile che non lo fosse, ma sostenere la mancanza di attenzione per queste tematiche non sembra del tutto corretto. C’è poi un terzo punto: dichiarare che il regista non sia in grado di proporre personaggi femminili ricchi di sfumature e forti a prescindere da poteri e costumi è piuttosto discutibile se si considerano i progetti portati sugli schermi prima degli Avengers. Si può sicuramente ribattere che una serie tv non è frutto del lavoro di un’unica persona, e infatti è il risultato dell’impegno di innumerevoli artisti, tuttavia basta prendere in considerazione gli episodi scritti e diretti da Joss Whedon per capire che il giudizio dato tra le pagine è piuttosto superficiale. Dallo scontro tra Buffy e Angel nel finale della seconda stagione, passando dal memorabile episodio in cui muore la madre di Buffy e arrivando alla puntata musical, le scelte registiche e narrative del filmmaker propongono un ritratto profondo dell’animo umano, dell’impatto sulla psiche causato da eventi traumatici e del significato della vita. Dispiace che venga totalmente ignorato come Whedon abbia contribuito a portare sugli schermi televisivi un’intera stagione, la sesta, con una protagonista alle prese con la depressione, e persino vicina al suicidio, in un periodo storico in cui l’attenzione per la salute mentale e le problematiche affrontate dagli adolescenti era quasi del tutto assente dagli schermi. Risulta davvero difficile dichiarare senza ombra di dubbio che un regista non sia in grado di affrontare tematiche importanti in modo serio e riflessivo e, ironicamente, le dichiarazioni dei fan di Snyder che sostengono che la visione dei suoi film li abbia aiutati ad affrontare momenti difficili della propria vita ricordano molto da vicino quelle compiute per anni dai sostenitori di Buffy.
Whedon ha proposto senza dubbio una gran dose di ironia e leggerezza, ma ha anche firmato momenti come questo passaggio di Buffy in cui si sfrutta persino in modo brillante il concetto di luce e ombra, oltre a un dialogo memorabile che affronta in modo chiaro e rispettoso la situazione mentale della Cacciatrice, e imporre l’idea di due artisti in totale opposizione sembra quasi sminuire il lavoro compiuto dai due filmmaker in carriera, proponendo una semplificazione poco costruttiva. Ciò che ha portato alla distribuzione di un film insoddisfacente, seppur per molti versi in grado di intrattenere ed essere apprezzato, penso sia legato a una struttura, idee e modelli di business che non sono esclusivamente riconducibili con assoluta certezza alle decisione dei singoli.
L’ultimo punto della lotta portata avanti dai fan per anni che, personalmente, penso avrebbe avuto bisogno di un’analisi meno di parte, è quello riguardante le accuse rivolte al movimento, da molti considerato vicino al bullismo e “tossico”. Sean O’Connell compie un ottimo lavoro nell’evidenziare il lato migliore della situazione e a lodare, come è giusto che sia, il contributo che hanno dato nel permettere a un’artista di riappropriarsi del proprio lavoro e mostrarlo al mondo, oltre a sostenere una causa importante come quella portata avanti dall’American Foundation for Suicide Prevention. Negare che, soprattutto su Twitter, ci sia stato spazio per attacchi fin troppo duri e ingiustificati a chiunque negasse l’esistenza della versione Snyder Cut, compresi alcuni attori che hanno lavorato in altri progetti della DC, e che le pagine social dello studio e dei suoi dirigenti non fossero diventati un campo di battaglia senza esclusione di colpi è però difficile. Essere motivati da un intento lodevole e dalla propria passione non esclude, purtroppo, che in molti casi si superino i confini del rispetto nel confronto del prossimo o non si dia il giusto peso alle conseguenze di una campagna così capillare e insistente. Mi risulta davvero complicato non pensare a come deve essere stato difficile e pesante dal punto di vista mentale lavorare come social media manager negli ultimi anni tra le fila della Warner o la pressione subita dai dirigenti dello studio. Si potrebbe dire che il fine giustifica i mezzi, tuttavia si dovrebbe riflettere seriamente sulla questione e sul “potere” che si ottiene creando un gruppo numeroso pronto a tutto pur di sostenere un’iniziativa o un’idea, considerando in modo obiettivo anche le accuse rivolte a chi si è opposto a lungo a una possibile distribuzione del film causata dalla pressione subita da parte dei fan. In un’epoca pre-social media i fan erano già riusciti a salvare una serie dalla cancellazione inviando ai diigenti della CBS tonnellate di arachidi e recentemente il sostegno degli spettatori ha contribuito più volte a dare una seconda chance a vari progetti, la portata di Release the Snyder Cut apre però la porta a potenziali ripercussioni sui processi decisionali e sul modo in cui possano essere influenzati dal pubblico. Zack Snyder, dal suo punto di vista, ha assolutamente ragione nel dichiarare che non considera “tossico” il movimento ed è bellissimo leggere le testimonianze di chi ha stretto amicizie e ha vissuto cambiamenti positivi nella propria vita grazie al proprio impegno a sostegno della causa. Esiste però un altro punto di vista che andrebbe considerato, rispettato e, seppur non condiviso, capito. Le potenziali conseguenze negative del “cedere” alle richieste dei fan esistono e, seppur per molti aspetti non si tratti di questo caso, non andrebbero respinte, ignorate o negate in modo categorico, attribuendo la colpa di comportamenti non del tutto positivi solo alle azioni di singoli individui che si sono allontanati dalle idee alla base dell’iniziativa.
La gestione, a mio parere, non del tutto obiettiva di questi punti e non pregiudica però in nessun modo l’utilità di Release the Snyder Cut e non mette in ombra la bravura dell’autore che ha saputo ripercorrere una pagina importante della storia del cinema contemporaneo con semplicità e dando vita a una lettura stimolante e piacevole. Il libro sarà un’aggiunta imperdibile per i fan del regista e dei fumetti della DC e una proposta interessante per gli studenti di cinema e dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione.
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