Dinner in America, scritto e diretto da Adam Rehmeier e prodotto anche da Ben Stiller, ha portato la sua carica punk rock nella programmazione del festival Nightstream.
Il lungometraggio si muove in maniera intelligente, ed efficace, sul confine tra commedia dall’umorismo dark e critica sociale, senza dimenticare un pizzico di buoni sentimenti e persino romanticismo.
Simon (Kyle Gallner) sembra un giovane allo sbando diviso tra spaccio di droga, menzogne e problemi in famiglia. Patty (Emily Skeggs) è invece una studentessa dal comportamento insicuro e un po’ goffo che viene bullizzata dai suoi coetanei e incompresa in famiglia, sfogando così la propria frustrazione grazie alla musica del gruppo punk Psyops, provando inoltre un’attrazione molto fisica per il leader della band John Q, di cui non si conosce il volto.
L’incontro casuale tra i due giovani cambierà per sempre le loro vite: Patty trova una sicurezza che pensava di non possedere, mentre Simon trova qualcuno che non viene infastidito o alienato dalla sua personalità eccessiva e sopra le righe.
Dinner in America costruisce bene, nonostante la presenza di battute al limite dell’offensivo e a tratti di cattivo gusto, l’evoluzione dei due protagonisti. A sostenere bene il progetto, oltre a una colonna sonora molto trascinante, sono le interpretazioni di Kyle Gallner (Interrogation), davvero bravo nel far emergere il lato più vulnerabile di Simon e mostrarne i lati positivi nascosti dietro l’apparenza di un cattivo ragazzo senza possibilità di redenzione, e della talentuosa Emily Skeggs (When We Rise), attenta a non far esclusivamente scivolare il suo personaggio negli stereotipi della classica ragazza “perdente” del liceo. La trasformazione di Patty, dal punto di vista narrativo, è piuttosto prevedibile e la “vendetta” nei confronti dei bulli non è un espediente particolarmente brillante, tuttavia Adam Rehmeir costruisce bene la sensazione di spaesamento, confusione e incertezza che contraddistingue l’adolescenza. Il confronto diretto con gli adulti, a tratti apatici e incapaci di creare una connessione con i propri figli, sfrutta bene la bravura di talenti come Lea Thompson per enfatizzare l’approccio tagliente alla tematica della scoperta della propria identità e del passaggio all’età adulta, trascinando il racconto verso un epilogo efficace e, un po’ inaspettatamente, pieno di ottismo.